SS. Alfio -
Filadelfo e Cirino
L'attesa è già festa
Si e appena girato il foglio del calendario sul mese di Aprile che il dito di tanti miei concittadini scorre veloce i giorni appena scoperti per arrivare a fine mese.
Una voglia di far presto ci assale. Voglia del successivo, voglia di Maggio, perchè si possa tornare a ripetere gesti, a rivivere emozioni, a rivedere stupiti ciò che si conosce da sempre.
E' il più bel mese dell'anno che si attende, l'antico mese delle feste in onore di Ercole che in queste terre uccise il leone nemeo, il mese della zagara con tutte le sue speranze e le sue bianche promesse, il mese di Sant'Alfio.
E a Lentini sembra proprio che la festa del Santo patrono faccia da spartiacque al tempo dell'anno: qui la gente si sposa o prima di Sant'Affiu o doppu di Sant'Affiu; e non solo questo: «Cumpari Turi mossi doppu Sant'Affiu» ; oppure: «'U picciriddu nasciu prima di Sant'Affiu». E' proprio così: la festa che viene impasta la vita di ognuno di ricordi e di progetti, e il ripetersi di ogni cosa è quanto di più nuovo ed originale si possa pensare. Questa è la novità di ogni anno: Tutto è già accaduto e tutto è sempre nuovo, inaspettato, struggente, unico. L'attesa dei giorni di Maggio è ricca di cento impegni ed in prima linea i robbi di Sant'Affiu. Si, gli abiti nuovi che s'ancignunu, che si indosseranno per la prima volta il 10 Maggio. La mia mamma pensava a tutto, come tutte le altre mamme: scarpe nuove, calze, camicia, fìnanco le mutande e tutto il resto.
Tutto doveva essere nuovo a testimoniare che il Suo amore mi coinvolgeva totalmente, anima e corpo. Quante volte abbiamo sentito: Chisti su' i robbi di Sant'Alfiu, come dire: Non ho di meglio. Tutti attendiamo i giorni di Maggio.
Giorno 1 iniziano i festeggiamenti e puntuali i mortaretti annunziano l'alba. Non vi nascondo che da tanti anni sto con mia moglie, all'alba del 1° maggio, alla finestra ad attendere pazienti, speranzosi e trepidanti, i primi botti in un cielo appena chiaro ed a una sola voce gridare: Ebbiva sant'Affiu.
Gli artisti delle luminarie completano gli archi trionfali, le mille bancarelle approntano torroni e noccioline, e gli occhi di ognuno si preparano a diventar lucidi.
Non v'è dubbio!
Vi è un posto nella città dove meglio che in altra parte si coglie il senso della storia cittadina e della appartenenza: E' la piccola Chiesa della Fontana.
Sorge sull'area nella quale ci e stato tramandato avvenne il martirio dei Santi fratelli Alfio, Filadelfo e Cirino. Carcerati in una vicina grotta, la mattina del 10 Maggio del 253, dopo essere stati trascinati per le strade dell'antica città, furono straziati nelle carni e si consegnarono con la loro morte alla storia e all'amore di tutti i lentinesi dei secoli futuri. Alfio, il maggiore dei fratelli, esortava a non cedere al dolore, a gioire del prossimo incontro col Signore: a lui viene strappata quella lingua che dava forza e che proclamava vittoria.
La lingua, scagliata a terra, cantava ancora le lodi del Signore balzando sulla roccia: e dalla roccia sgorgò acqua come l'acqua dell'Antico Testamento donata a Mosè, biblica prova che Dio non abbandona e conforta. E su quella fontana i nostri avi eressero una chiesetta e in mezzo è il pozzo della lingua dal quale si attinge ancora oggi fresca acqua e conforto dei pellegrini. E' qui che ha luogo la novena in onore dei martiri lentinesi dall'uno al nove maggio, ed è qui che sono venute per secoli le nostre madri a pregare, a supplicare a ringraziare.
A stare in silenzio si potrebbero udire le voci di Alfio, Filadelfo e Cirino nell'ultimo grido e le invocazioni delle madri che da sempre con i capelli sciolti si sono prostrate ai piedi dell'altare a confidare speranze e paure.
Dal 1984 si è manifestata una nuova prova d'amore dei santi Martiri verso la loro città: la nascita della Associazione Devoti Spingitori della Vara di S. Alfio. Cosa è accaduto: fino all'83 la preziosa e pesante Vara argentea di Sant'Alfio, durante la processione del 10 e dell'l1 Maggio veniva spinta per le vie cittadine da operai remunerati e, di conseguenza, poco motivati nella fatica e che con frequenza si lasciavano andare ad atteggiamenti poco rispettosi.
Tutto fu stravolto. Un gruppo di fedeli si organizzò e con slancio si votò al servizio dello spingere, coinvolgendo ogni anno nuovi Spingitori che all'altare papale in Duomo ogni 1° maggio, giorno di inizio dei festeggiamenti, giurano di onorare la loro promessa fino alla morte. Oggi sono oltre cento e si onorano dell'essere amati dal vescovo oltre i loro meriti, avendo ricevuto l'erezione canonica secondo le leggi del Codice di Diritto Canonico.
La loro acclamazione continua è una: Prima Diu e i Santi Mattri, cui rispondono: Matri Santi. E' questa la più antica delle acclamazioni e sintetizza la fede nel Padre celeste attraverso l'amore verso i santi Martiri. Adesso tutto è veramente pronto!
II giorno 9 è tutto un trepidare. Gli ultimi preparativi prendono un po' tutti mentre le bande musicali con le loro marcette tessono le vie cittadine. Le scolaresche invadono i luoghi del martirio: II carcere, la chiesa della fontana e le tombe nella roccia del Duomo che custodirono per secoli le reliquie dei Santi fratelli.
Scesa la sera, inizia la processione delle reliquie che si snoda lungo un antico percorso, 'u giru santu, e che, partendo dalla antica chiesetta di S. Maria La Cava, riceve il primo grande omaggio d'amore da parte di tutta la città. Il busto d'argento nel quale è incastonato il Cuore di Sant'Alfio, preceduto dalle Confraternite e da Devoti Spingitori, visita i luoghi del martirio e, alla conclusione dei fuochi d'artifìcio, rientra in Duomo. Ora si attende il momento più struggente, più ricco di profondi significati, più intrinseco di fede e commozione. Già fin dalla mezzanotte si accalcano alla cancellata del sagrato sempre più numerosi i fedeli che si accingono a sciogliere il voto promesso al santo. Vengono così alla spicciolata, e con accanto la moglie, il parente, la fidanzata, ma immersi in un silenzio eloquente e insieme ripetono gli antichi gesti di una struggente preparazione.
Tra poco, all'una in punto, nel cuore della notte, si spalancherà il grande portone centrale del Duomo e l'atteso Sant'Affiuzzu beddu apparirà ai loro occhi di tutti i lentinesi assittatu 'nta 'na gran putruna ppi la stanchizza di la tanta strata, ca s'à fattu a peri. Sarà l'attimo più significativo forse di tutti i festeggiamenti, l'attimo nel quale la folla non esiterà più e uno strano silenzio si farà in ogni cuore e saremo tutti soli con lui in un ritrovato abbraccio che cullavamo da un anno. Ma ecco che è quasi l'ora. Tra le acclamazioni e le grida d'amore, lo sguardo va all'orologio della facciata come a fare fretta al tempo.
Ecco finalmente! Schiocca l'una della notte. Il portone si spalanca e la Vara con la grande statua di Sant'Alfio appare a tutti.
Non trovo le parole per descrivere la commozione popolare e la struggente premura di cercare gli occhi del Santo che, come in un sorriso, riconosce i suoi concittadini uno a uno. Gli uomini venuti a sciogliere il voto, si precipitano nel sagrato, e con l'incredibile lestezza, si denudano restando con le sole mutande, cinti alla vita da un nastro rosso e con in mano un mazzo di rose. Sono i nuri! Sono i fedeli ca ci fanu 'a via! E subito di gran corsa a centinaia a gridare con tutta la voce che c'è in gola: Ccu tuttu 'u cori, Sant'Affiu, e ancora infinite volte: Fozza e valia, Sant'Affiu. La gremitissima piazza diventa silenziosa e assiste alla partenza delle migliaia di donne che seguono al passo i nuri nel luogo percorso che idelamente fecero i Martiri bastonati e incatenati.
Il braccio sinistro dei nudi è portato lungo la corsa, ppi tutta 'a via, dietro le spalle, come ad indicare la catena che strinse i Martiri, ma il braccio destro con le rose è alto come di chi è vittorioso. E alcuni con un bimbo in braccio per dire a tutti, con le infinite acclamazioni, che negli attimi più pesanti e brutti dell'anno, Sant'Alfio è stato con loro a proteggere e a confrontare.
Nessuno sarà mai capace di descrivere pienamente questi attimi. Solo la presenza può far capire. Alle tré della notte tutto si conclude: Tutti rientrano a casa per un breve riposo mentre la Vara di Sant'Alfio resta per tutta notte lì, sul portone del Duomo, come a vigilare il breve sonno della città. Si attende l'alba del 10 Maggio.
Conta veramente poco quale sia il giorno della settimana!
Questa è la mattina della gioia, la mattina che umilia i giorni delle divisioni e delle discordie, la mattina dei fidanzati alla prima passeggiata, la mattina dei ricordi di antiche fanciullezze, la mattina del popolo, la mattina più attesa. Tutti avvertiamo che è la mattina dove stringersi attorno alla Vara significa rivisitare la storia della città e la storia di ognuno di noi. Ed è con quest'animo che nella grande piazza del Duomo sfociano come piena improvvisa fiumi di gente, e tutti pronti a non perdere nulla di ogni istante.
Ecco! Manca pochissimo alle 10 e il vecchio orologio scandisce non solo i minuti, ma ancor più i battiti dei cuori che a migliaia picchiano al petto.
I Devoti Spingitori hanno già le braccia alle aste della Vara: recitata la loro preghiera, un urlo di acclamazione ed eccoli pronti alla fatica. Finalmente le 10!
La Vara si affaccia al grande portone e accade ciò che abbiamo visto fin da bambini e che mai ci stanca e ci stancherà: Campane a distesa in note antiche e riconoscibili tra mille e fuochi d'artificio e tingere il cielo e ad esplodere come di gioia più che di polvere da sparo. Questa è 'A nisciuta di Sant'Affiu. Quella stessa gente che poche ore prima, nella notte, aveva pianto ed in silenzio e con struggente commozione aveva incrociato gli occhi di Sant'Alno, quella stessa gente adesso vive il secondo grande momento dei festeggiamenti: quello della gioia e dell'esultanza. I canonici con le mozzette rosse precedono la Vara che raccoglie offerte, fiori e doni.
Le bande musicali senza sosta squillano tra le acclamazioni degli Spingitori. E dietro la Vara il Sindaco i gonfaloni e il popolo.
Un proclama del 1864 diceva: E' impossibile poter enarrare al vivo l'entusiasmo e il sacro tripudio del popolo all'uscire del fercolo, che ripercosso dai raggi solari, orchibaglia chi lo rimira. Non si poteva essere chiari! Guai a essere lontani dalla città in questi momenti.
Chi lo ha provato è testimone di quanto, struggente e doloroso sia quest'attimo. Si ci sente staccati dalla storia e se una situazione costringe, il cuore è altrove, è lontano, è nella piazza di Lentini, tra campane e mortaretti che, a chiudere gli occhi, si odono.
"E
la festa anfozza"
La Vara nei quartieri
Con il primo pomeriggio inizia il terzo grande momento dei festeggiamenti, il momento della sintesi tra la delicata commozione della notte dei "nuri" e la gioiosa euforia della mattina da' nisciuta.
Ma andiamo con ordine. Al suono dell'antica campanella d'argento in mano al presidsente del Comitato dei festeggiamenti, i Devoti Spingitori portano la Vara tra le stradine dei quartieri antichi della città. E' qui che il popolo attende che il Santo sosti per un attimo davanti alle case ed è qui che dalle case escono i sofferenti, gli ammalati, le mamme cco 'ntrocciu cca nnastru, il cero stretto da un nastro rosso, da offrire per il figlio, per il marito, per il fratello.
E' qui che si alzano i bambini sulla Vara e si offrono al Sant'Alfìo come mazzi di rose. Tòcculo a Sant'Affiu, dacci 'nu baciu a Sant'Affìu, dicono le mamme ai bambini; e il bacio sarà indimenticabile. Poi i più piccini ai piedi del Santo vengono spogliati e a lui offerti nudi per una sicura protezione. Offrirsi nudi al Santo è un fatto che lungo la festa ritorna più volte, chiaro, pulito, orante. Assomiglia al gesto di Francesco d'Assisi che si denudò in piazza per dire a tutti: Dipendo dal Padre celeste, non posso contare neanche sui miei panni. E' questo che dà senso alle nudità sia dei bambini che dei devoti nella notte dei nudi.
I testimoni per eccellenza sono Devoti Spingitori che zitti e in fatica non si abitueranno mai a tanti piccoli gesti di limpida e commovente fede. E' una festa, ma gli occhi sono gonfi di lacrime.
Non è strano; Tutti lo hanno sperimentato:
La festa di Sant'Alfìo è festa di folla e di solitudine, di gioia e di lacrime. Lo so: è difficile comprendere. Per noi lentinesi è stato tutto semplice, come un colpo di fulmine. Ecco perchè fare festa in questi giorni non significa a Lentini ne' chiasso, ne' baldoria.
Fare festa è gioire d'un incontro antico ed unico, vissuto tra fede e storia con dentro le mille acclamazioni e la pioggia di petali sulla Vara e i telefoni aperti sulla folla a rubare suoni ed emozioni che mille miglia lontano faranno sognare e sperare. E la Vara sale per ripide stradine e ne scende per altre come a rituffarsi tra la folla, e la camapanella ne scandisce le soste e le partenze. Poi l'arco trionfale, 'a pottajaci, con mille ceri accesi come agli antichi dei, e ogni fìammella è un sospiro, una preghiera, un ringraziamento. Conclusa la serata con i fuochi d'artificio, la Vara viene portata nella piccola Chiesa della Fontana, dove all'altare maggiore campeggiano le statue dei tre fratelli martiri. E ognuno dice all'altro: Stanotti Sant'Affiu dommi cche so' frati. A tradurre si perde tutto. Grande solenne pontificale nella mattina dell'11. Si ha il tempo d'un pranzo veloce, d'un brevissimo riposo e subito gli Spingitori tornano alle aste della Vara.
Altra folla, altri quartieri. Stessa emozione, stesso amore. Gli occhi del Santo sembrano cercare nella folla acclamante gli occhi di ognuno e chiamano financo alla carezza fisica.
Elio Cardillo